Nella lotta che dura ormai da altre cinquant’anni per i primati d’immersione in apnea, si sono avvicendati al vertice mondiale una quindicina di superuomini, veri Dei del regno di Nettuno. Fra di loro ci sono uomini che sono rimasti alla ribalta per più tempo e altri che sono stati delle meteore, tutti hanno scritto episodi storici, ma fra tutti pensiamo che lo scettro di Re dell’Olimpo dell’apnea profonda sia da attribuire a Enzo Maiorca: per il suo carisma, la sua filosofia di assoluto amore per il mare e per aver rischiato la pelle più volte e contro i pareri della scienza medica quando si trattava di superare le barriere “impossibili”.
Enzo è nato il 21 giugno 1931 a Siracusa; ha fatto studi classici e ha avuto sempre una grande passione per lo sport. Ha praticato per anni, oltre alla subacquea, il canottaggio e la ginnastica. E’ sposato con Maria e ha due figlie, entrambe celebri nel mondo per una bella serie di record mondiali d’ immersione in apnea. Oltre alla famiglia e allo sport, Maiorca ama la campagna, gli animali e la lettura. Ama la mitologia classica e l’archeologia fenicio-punica. Ha scritto tre libri: “A capofitto nel Turchino”, “Sotto il segno di Tanit” e “Scuola di apnea”. Per la sua esaltante attività sportiva ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti: nel 1964 la Medaglia d’Oro al valore atletico del Presidente della Repubblica, e poi il Tridente d’Oro di Ustica; il Premio letterario del C.O.N.I. e la Stella d’Oro al merito sportivo sempre del C.O.N.I.
Ha imparato a nuotare a quattro anni e presto ha cominciato ad andare sott’acqua, ma confessa che all’epoca aveva paura del mare. Da ragazzo ha praticato anche la pesca subacquea immergendosi a 3 o 4 metri di profondità. Un giorno un amico medico gli mostrò un articolo in cui si parlava di un nuovo record di profondità a -41 metri strappato a Bucher da Falco e Novelli. Era l’estate del 1956, Enzo rimase colpito e da quel momento si impegnò senza sosta per entrare in competizione per il titolo di uomo più profondo del mondo. Nel 1960 coronava il suo sogno toccando -45 metri, era l’inizio del periodo d’oro della famiglia Maiorca.
L’Intervista
Per presentare il personaggio, fra tante, abbiamo scelto questa significativa intervista dell’ 11 settembre 1986!
AW – Secondo te, che peso hanno avuto le immersioni profonde nella divulgazione dello sport subacqueo?
EM – Basilari per la divulgazione dello sport subacqueo; che, come ogni altro sport, richiede dei modelli: vedi Borg, Simeoni, Mennea, Tomba, il fenomeno Azzurra per la vela e via di seguito. Per di più, l’attività subacquea può attingere acqua per diventare rigogliosa solo nel fascino della profondità, mentre ritengo la pesca subacquea agonistica anacronistica.
AW – C’è un futuro per le immersioni profonde?
EM – Si, immersioni sempre più profonde: non credo nell’esistenza di un limite fisico assoluto; credo comunque nel limite individuale. Credo però anche in ciò che mi ha insegnato un vecchio marinaio: “Enzo, se ti siedi in uno scoglio a contemplare a lungo ed intensamente il mare, ti cresceranno branchie e pinne”.
AW – Non c’è il pericolo che i giovani, per imprudenza e per spirito di emulazione rischino inutilmente per imitarvi?
EM – Assolutamente no, l’emulazione è il pericolo tipico che incombe sui pescatori subacquei: il ragazzino vede un pomeriggio un coetaneo traversare la battigia e la scogliera con una cernia agguantata per gli occhi; pensa, il giorno successivo, di pescarne una anch’egli: il conoscente del resto non ha doti particolari, e beve come gli altri, come gli altri conduce vita sedentaria. Va in mare impreparato e ci resta. Oggi i giovani sono bene informati, sanno che i profondisti in apnea, pur essendo individui normali, sono seguiti da coorti di medici e di sommozzatori, pronti a intervenire al minimo bisogno. Sanno ancora che per le immersioni in apnea in profondità è necessaria quella preparazione psicofisica indispensabile per tutti gli sport che richiedono impegno fisico e mentale. L’emulazione pertanto non riguarda noi.
AW – Pensi sia più difficile e pericoloso scalare un “ottomila” o scendere sott’acqua oltre i cento metri?
EM – Non ho mai scalato un “ottomila: evito le montagne. Una volta, comunque, con un vecchio marinaio, dopo una lunga scarpinata sull’Etna, siamo arrivati a quota 3400 metri. Ansimante per gli anni e lo sforzo, il vecchio esclamò:”Uh, che bello! Si vede il mare!”.