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PATRICK MUSIMU

Testo: Alessandro Botré Foto: Matteo Weter

SI E’ TUFFATO TARDI MA CI HA MESSO POCHISSIMO a diventare uno dei primi e iniziare a battere record su record.

Patrick Musimu, 39 anni, belga nato nella Repubblica democratica del Congo, ha scoperto solo 13 anni fa la sua vocazione per quell’affascinante disciplina che è l’immersione in apnea, e in breve è entrato a far parte dell’Olimpo del free diving mondiale. Un vero istinto in lui, visto il ritardo, rispetto alla media, con cui si è avvicinato a questo mondo. Ma, anche senza saperlo, aveva già assimilato alcuni concetti di base: prima infatti ha praticato le arti marziali, un mondo fatto di disciplina, interiorità, continua riflessione ed esplorazione del proprio Io, consapevolezza e ricerca dei limiti del fisico e della mente. Quei concetti non ha fatto altro che applicarli al mondo sommerso, ed ecco che è nato un campione di acquaticità (e di subacquaticità).

Uno dei suoi record? Primo al mondo ad aver raggiunto i 209 metri di profondità in apnea, in tre minuti e 28 secondi. A Bonaire,Antille Olandesi, il 26 maggio 2010 ha poi stabilito il nuovo record di apneaTandem No Limits in coppia con Karol Meyer: -121 metri. La difficoltà di questa particolare disciplina, il tandem, consiste nel fatto che debbano trovare la concentrazione, al fine di essere performanti al massimo, non un solo sistema mente-corpo, bensì due contemporaneamente. Patrick racconta che la sua bravura, e la sua sfida, è stata quella di essere riuscito a stabilire con la propria allieva una profonda sintonia, in virtù della quale durante la discesa, pur non tenendo mai un contatto visivo, riusciva a percepire ogni sua vibrazione, solamente con un lieve contatto fisico come poteva essere un gomito leggermente appoggiato. Il suo mentore era così in grado di intuire se tutto andava bene, o se c’era in Karol anche una minima esitazione, dovuta per esempio a un attimo di difficoltà nel compensare la pressione, che a 120 metri è 13 volte quella a cui siamo abituati a livello del mare.

Dai Caraibi alla piscina San Carlo di Milano. Qui Musimu dà appuntamento a Bleu per un esclusivo e privatissimo master di approfondimento di tecnica apnea. «Ogni apneista», spiega, «utilizza le proprie tecniche di rilassamento e concentrazione; per me passa tutto attraverso le arti marziali». E due componenti in gioco: mente e corpo. Il che vuol dire anche fisica e fisiologia. «Gli organi cardine delle respirazione sono i polmoni, che non sono altro che dei sacchi da riempire con l’aria inspirata. Ora, qual è il metodo più efficace per iniziare a riempire un sacco, sfruttandone il volume al massimo?». Facile: riempirlo a partire dal fondo. «Giusto, peccato che con la respirazione alla quale siamo abituati coinvolgiamo solo la parte superiore dei polmoni e allora è necessario reclutare il diaframma, quel muscolo laminare alla base dei polmoni che contraendosi ne determina la diminuzione di pressione e la conseguente automatica aspirazione dell’aria.Tutti da piccoli respiravamo con il diaframma, ci veniva spontaneo: poi, da adulti abbiamo dimenticato questa nozione basilare». Passiamo quindi all’azione.

In piedi, posizione eretta,mento in su per aprire meglio le vie aree. Proviamo a contrarre il diaframma, a portarlo verso il basso. Ecco che i due sacchi si riempiono dal fondo. Un volta gonfiati il più possibile iniziamo l’espirazione attuando il processo inverso, cercando di spingere il diaframma verso l’alto, costringendo l’aria a defluire dai polmoni. Questo «lavaggio polmonare» sarebbe utile adottarlo anche come efficace tecnica antistress; specialmente nelle grandi città se le persone imparassero un po’a respirare col diaframma avrebbero solo da guadagnarci. Entriamo in acqua. Patrick si muove in modo splendido, scivola disinvoltamente attraverso l’acqua con una flessibilità più propria di un abitante del mondo sommerso che di quello terrestre. È acquatile. Ritrovo nel suo nuoto l’armonia che emana quando, a terra, si allena con mosse e posizioni marziali. Si intuisce che alla base di tutto c’è una cultura millenaria, una filosofia che indaga sulle regioni ancora ignote del corpo e dello spirito umano. Una teoria, un pensiero che poi si oggettiva in un’azione. Come per esempio arrivare a sentirsi un tutt’uno con l’elemento liquido, dimenticando la propria entità fisica; chiudendo gli occhi, dimenticando il mondo e le persone, lasciandosi andare ed entrando dentro se stessi. Fino a permettere a un atleta come Patrick Musimu, così immerso immobile e concentrato, di raggiungere gli otto minuti e mezzo senza respirare.

Questo discorso dell’armonia con se stessi è fondamentale quando si va sott’acqua. Pensate solo di trovarvi a una profondità di 200 metri. Fa freddo, la pressione di circa 21 kg/cm2 rallenta ogni azione e ogni pensiero. È buio, siete soli. Siete in apnea, magari già da un paio di minuti, e il pensiero di essere un semplice e fragile uomo in balia del grande abisso non è certamente dei più tranquillizzanti. Infatti, come spiega Musimu terminando la lezione: «Ci vogliono concentrazione, calma e serenità assolute, senza dimenticare un grande senso di umiltà e quasi venerazione nei confronti del mare. Se tu lo rispetti, lui farà altrettanto». «Quando mi immergo sento la mia mente staccarsi dal corpo. E mi separo dall’idea predeterminata che ho di me stesso». Patrick Musimu è così, molto atleta e un po’ filosofo.

Per scendere negli abissi del mare ha scelto di sondare le profondità dell’animo e dello spirito, prendere coscienza dei propri limiti per portarli sempre più in là, sempre più a fondo, elaborando anche tecniche e metodologie personalissime. Come quella da lui adottata per la compensazione. È la prima regola che si impara andando sott’acqua: per annullare l’effetto della pressione idrostatica sul timpano bisogna controbilanciare, facendo aumentare la pressione nell’orecchio medio. Il metodo più classico è la manovra di Valsalva che consiste nel tapparsi bene le narici e soffiare delicatamente dal naso. Musimu, uomo di Atlantide, invece ha messo a punto una tecnica di compensazione curiosa e ardita: durante la discesa nel blu, verso i 40 metri lascia che l’acqua invada tutte le vie aeree interne del cranio, fino all’orecchio medio. L’acqua, essendo un liquido, è incomprimibile, pertanto non deve essere compensata meccanicamente dall’uomo. «La prima volta che la provai con acqua salata, a terra, fu traumatico: caddi con terribili giramenti di testa, nausea, perdita d’equilibrio». Poi, Patrick ha migliorato la tecnica: «Il vantaggio è che alla fine non devi fare nessuna fatica, lasci che sia il mare a compensare per te».